A fianco della vecchia chiesa dedicata a S. Giuseppe lavoratore è posto il complesso detto “Donecco”. La chiesa, presumibilmente datata al XVI secolo è stata poi ristrutturata nel XVII, preservando sino ad oggi il medesimo impianto. La struttura fu il centro attorno al quale si svilupparono le costruzioni ancora oggi esistenti. La più antica di queste risale al 1700, sorsero poi i corpi rurali nel 1800 e nel 1900 venne costruita la parte padronale, in aderenza a quella più antica.
I Cerri sono un centro agricolo autosufficiente risalente all’epoca romana. Gli edifici, salvo il corpo centrale che unisce la casa padronale a quella rustica, risalgono all’incirca alla metà del XVII secolo, così come la chiesetta fatta erigere dagli antichi proprietari, la nobile famiglia Savioni. Dedicata a Maria Assunta la chiesetta conserva ancor oggi i pavimenti originali ed ha al suo interno un quadro dell’Annunciazione di autore ignoto. Dal 1925 la proprietà è passata ai signori Moretti di Gandino. Oggi i Cerri sono sede di un’attività agrituristica di ristorazione.
Sull’origine del borgo di Rosciate vi sono differenti teorie: per alcuni è di origine celtica, come anche il nome, per altri è di origine gentilizia. Amministrativamente Rosciate fu divisa da Scanzo fino al 1927, quando si costituirono in un unico Comune. Il cuore del centro storico è Piazza Alberico da Rosciate, sulla quale si affaccia la Parrocchiale nuova di S. Maria Assunta; nella piazza confluiscono 4 vie: via Don Calvi, via Serenissima in cui si trovano la dimora rosciatese di G. Quarenghi e i resti di una colonna romana, via F.lli Epis e via Medolago con Villa Colleoni. Il borgo ospita ogni anno a settembre la Festa del Moscato di Scanzo e dei sapori scanzesi.
Per quanto ridotto a un rudere, quest’antica chiesa è impressa nella memoria dei tempi. Risale presumibilmente a poco prima dell’anno mille, ma le prime notizie certe risalgono alla fine del Medioevo, quando era gestita dagli Umiliati appartenenti all’ordine Carmelitano. Probabilmente nacque per opera di qualche religioso eremita. Quasi con certezza fu costruita su una preesistente chiesetta dedicata a S. Giovanni Battista; per la località in cui era situata venne poi chiamata “dei boschi”. Sappiamo che l’edificio era di modeste dimensioni, almeno fino alla visita di S. Carlo; inoltre il Sacrificio della Messa veniva celebrato su un altare costruito sotto il porticato esterno. Nonostante l’edificio fosse molto modesto esteriormente, all’interno vantava affreschi risalenti all’inizio del 1500 eseguiti da Giovanni Zanchi del Beur. Anche gli affreschi sono andati completamente perduti. Nel 1897 venne ampliata e successivamente lasciata in uno stato di abbandono.
L’antica chiesa risale all’incirca al XV secolo, è a navata unica ed era occupata da quattro altari votivi. Nei secoli l’edificio ha subito diversi interventi, soprattutto tra i secoli XV e XVI. A tale periodo vengono datati gli affreschi che ancora oggi si possono ritrovare all’interno; diverse sono le opere dedicate alla devozione mariana. Tra tutte spicca l’immagine della Madonna del latte con il Cristo infante, ornato al collo e al polso da un filo di corallo con finalità apotropaica. Sul pilastro di destra è situata l’immagine della Madonna col bambino a figura intera, datata 1507, attribuita al pittore bergamasco Nello da Gandino. Toccante è la Madonna che guida il Cristo infante a leggere sulle tavolette. Altre immagini sono destinate ai santi martiri, come San Domino, San Rocco, Sant’Antonio, San Pantaleone e San Pietro da Verona; trionfale e potente è il Vescovo Algisio Marchesi di Rosciate in trono, impreziosito da anelli dorati.
La chiesa di S.Pietro fu eretta, sulla precedente chiesa del ‘300, dai monaci cistercensi in architettura gotica, mantenendo il caratteristico schema ad abside quadrata. Diversi furono i restauri, ma di fondamentale importanza furono i lavori su progetto di G. B. Caniana nel 1749. La chiesa è un esempio di barocchetto lombardo con influenze rococò; la facciata principale ha un portale di derivazione neoclassica che si affaccia sulla piazzetta dedicata al vescovo Giovanni da Scanzo (1295-1309). Tra le opere interne alla chiesa troviamo alcuni affreschi dei fratelli Orelli, in particolare “Cristo scaccia i mercanti dal tempio” all’ingresso; nell’abside si trovano la tela di A. Talpino detto il Salmeggia “Consegna delle chiavi a S. Pietro” e l’opera di G. Raggi “Caduta di Simon Mago”. Era conservata anche una tela di Palma il Giovane, “Dio Padre”, ora collocata nella chiesa nuova. Nel primo altare di destra si trova la cappella della “Madonna del Rosario” con statua di G. Fantoni.
Dotata di un campanile di piccole dimensioni, non prorompente sul paesaggio, la Chiesa della S.S. Trinità di Gavarno ha uno stile architettonico difficile da definire, a causa delle numerose modifiche subite nel tempo. L’interno, arricchito da pregevoli opere d’arte, offre un’atmosfera di quieta armonia, in sintonia coi desideri dei vescovi, che ne furono i proprietari fino al 1905. Sul soffitto un affresco del 1800 dei fratelli Epis: l’”Incoronazione della Vergine”. Vi sono poi tre tele del 1700 di Antonio Cifrondi, restaurate dal pittore Quarti di Bergamo. La loro caratteristica più evidente è lo sfondo in piena luce.
Edificata in una posizione ottimale all’incrocio delle vie per Gavarno, Nembro, Cenate e Scanzo, la chiesa ha una posizione dominante. Costruita su progetto di Elia Fornoni, fu un momento di gioia per tutta la comunità, che partecipò alle spese del progetto. In un solo anno la chiesa venne finita e consacrata alla vigilia del primo conflitto mondiale il 27 maggio 1914 dal vescovo di Bergamo Radini Tedeschi; fu dedicata a S.Giovanni Battista. L’unica navata, interessata da cappelle votive (Cappella del Sacro Cuore, Cappella di Lourdes), termina con la gradinata che porta al presbiterio di forma esagonale. Si osserva la pala d’altare, proveniente dall’antica chiesa, che raffigura S. Giovanni Battista. Il dipinto è firmato da Jacobus Aduljus, datato 1717. Sul lato destro vi è la cappella dedicata alla Sacra Famiglia, sopra il cui altare è posta una tela del 1600 realizzata da Carlo Ceresa. A lato dell’altare è posta una tela di Pier Martini raffigurante i Santi.
Grazie ad una relazione sulla visita di S. Carlo Borromeo è certo che la chiesa attuale sorge su un’antica chiesetta. La struttura attuale risale probabilmente al 1595, anno in cui la chiesa venne ricostruita conservando l’abside antica e parte del muro perimetrale. Il portico in questi lavori non venne progettato e venne costruito successivamente. L’edificio nel suo complesso ricorda lo stile tardo romanico, ormai trasformato nel cosiddetto gotico lombardo. La pianta della chiesa è rettangolare, ad unica navata e suddivisa in cinque campate da archi in muratura a sesto acuto. L’interno è caratterizzato da tre opere notevoli: le pale dell’altare dei Santi e dell’altare maggiore di F. Zucco e l’altare dell’Annunciazione di Enea Salmeggia (1613). Sempre del Salmeggia troviamo le tele con gli episodi del martirio di San Pantaleone, mentre sono di Emilio Nembrini i recenti dipinti murali che rappresentano santi e beati
La chiesa attuale fu iniziata nel 1829 su progetto dell’Ing. Cominazzi e terminata nel 1840. L’edificio è ispirato al neoclassicismo e presenta una struttura a croce greca. Sopra l’ingresso, di tipo rinascimentale, vi è un bellissimo affresco di Gian Battista Epis raffigurante l’assunzione della Vergine. Di notevole importanza sono le tele all’interno, alcune delle quali provengono dalla chiesa antica, come l’Assunta di Gian Paolo Cavagna (1627), la Madonna col bambino e i santi Biagio e Carlo di Marcantonio Cesareo (1646). Nell’abside la “Cacciata dal paradiso terrestre” e la “Presentazione al Tempio” sono dei fratelli Epis di Gavarno. Sulle pareti ai lati dell’ingresso principale si trovano due tele di Antonio Cifrondi: le “Nozze di Cana” e l’”Ultima Cena”. Di grande interesse il complesso dell’altare, realizzato nel 1840 su progetto dell’architetto Luigi Fontana. Nella sagrestia si trovano tre tele del 1700: il “Miracolo della mula”, la “Sacra famiglia” e la “Madonna del Rosario”.
Una delle figure più eminenti della storia religiosa del paese fu Giuseppe Radici, parroco di Scanzo dal 1932. Uomo intraprendente e di forte temperamento, appena arrivato Scanzo fece sua l’idea di una nuova parrocchiale. La vecchia chiesa del Caniana fu giudicata insufficiente, soprattutto per l’incremento demografico di quel periodo. L’incarico dei lavori fu affidato all’Ing. Dante Fornoni nel 1934 che elaborò un progetto a navata unica con tre campate su croce greca. Il complesso insiste su un’area ricavata dalla demolizione degli edifici in origine di proprietà dei Martinengo. L’interno è snello e arioso arricchito da affreschi di Emilio Nembrini (1944-46) e Trento Longaretti (1986-87). Sul presbiterio campeggia l’altare maggiore di Giovanni Rota, realizzato con pregiati marmi di Zandobbio e di Camerata Cornello, arricchito dai rilievi simbolici di Costante Coter importante scultore bergamasco. La portella del tabernacolo porta la firma dell’artigiano scanzese Giacomo Cortinovis.
La Chiesetta degli Alpini sul Monte Bastia fu costruita nel 1969, mentre era in carica il capogruppo Giulio De Toma, e venne dedicata alla Madonna, Regina della pace. All’interno, nel settembre 1993, è stata posta una statua lignea, opera del famoso scultore Flavio Pancher di Ortisei (BZ). Dalla chiesetta si gode di una splendida vista a 360° sulla pianura, su Città Alta e sull’imbocco della Valle Seriana.
E’ la chiesa più antica di Scanzorosciate, inserita nel complesso costantiniano-longobardo dell’originaria Scantium. L’edificio è di modeste dimensioni, a pianta quadrata con un’unica colonna centrale che sorregge le quattro volte a croce e i quattro robusti archi a sesto. L’accesso avviene da via Abadia attraverso un piccolo portale di epoca cinquecentesca in pietra arenaria. Nella parte soprastante è visibile una lapider in arenaria gialla che rappresenta una croce che esce da una fonte, forse appartenente ad un antico fonte battesimale.
Antica fortificazione del XIV secolo della famiglia Ginami la quale, nonostante avesse solo feudi nella Valle Brembana, la mantenne quale punto di forza ed osservazione. La loro fede di convinti Ghibellini aveva spinto i Visconti a donare loro questo punto strategico. Nel XVII secolo iniziò la trasformazione da fortificazione in villa, voluta dai nuovi proprietari, i nobili Gelmini, già signori di Gromo in Valle Seriana. Rimase di loro proprietà fino alla metà degli anni ’40, quando passò a G. Pandocchi e successivamente all’attuale proprietà, la famiglia Lussana. La posizione in cima ad un’altura regala panorami indescrivibili che rimangono nella memoria dei fortunati visitatori, rendendo speciale questa località. La leggenda racconta che Alarico, Re dei Visigoti, fece del colle il suo quartier generale, dal quale dirigeva l’assedio su Bergamo. Oggi Il Castelletto è sede di un’azienda agricola che produce olio d’oliva ed ospita uno dei pochissimi frantoi della provincia di Bergamo. EMERGENZA COVID-19: SERVIZIO DELIVERY E TAKE-AWAY Il servizio Delivery è disponibile per olio.
Complesso risalente all’epoca della peste di S. Carlo (1576) realizzato probabilmente dalla MIA di Bergamo per ricoverare gli ammalati di Scanzo e dei comuni limitrofi. Al lazzaretto di accedeva da un robusto portale cinquecentesco in pietra arenaria; l’unico simbolo in esso rimasto leggibile è il ricciolo lungo il bordo esterno destro, che richiama il simbolo della Misericordia. I lazzaretti erano collocati nel Medioevo a est delle città ed erano luoghi di confinamento e isolamento per portatori di malattie contagiose come lebbra e peste.
L’accesso alla piazza avviene attraverso un portale con stemma vescovile; all’interno si trovano la chiesa medioevale e il castello, del quale non si hanno notizie storiche certe, per quanto presenti una struttura tipica del 1600. Quest’ultimo era utilizzato come foresteria da molti pellegrini. Le numerose reliquie tuttora conservate in chiesa suggeriscono l’idea di una consuetudine alle preghiere collettive. Nei secoli successivi si assistette a un lento e inesorabile degrado. Infine un recente restauro ha recuperato questo importante monumento storico, mettendo in evidenza la solida struttura con ampi terrazzi. I sotterranei, conservati e restaurati con attenzione dall’attuale proprietario del Ristorante “Castello del Vescovado”, sono suggestivi nella loro imponenza e bellissimi sono i soffitti in mattoni di cotto, tutti autentici. La presenza di macchine agricole ci offre l’immagine del mondo contadino esistente in queste zone collinari fino ad un recente passato.
Nuova sede del Consorzio di Tutela Moscato di Scanzo e dell’Associazione Strada del Moscato di Scanzo e dei sapori scanzesi , all’interno di Villa Galimberti, nel centro storico di Scanzo. Punto informazioni e vendita Moscato di Scanzo DOCG. Un salotto esclusivo, realizzato su due piani, all’interno di un palazzo antico nel cuore storico di Scanzorosciate, dove potersi immergere nella cultura del vino attraverso la suggestione dei materiali, dei colori e degli allestimenti. La sala superiore è stata dedicata all’avv. Bendinelli e all’arch. Fumagalli, con la seguente dedica: “Grazie per l’impegno e la dedizione verso il Moscato di Scanzo. Ci avete insegnato che le cose migliori si ottengono con il massimo della passione. I soci del Consorzio”. Due illustri personaggi che grazie alla loro tenacia e alla forza di volontà hanno contribuito in modo decisivo alla conoscenza del Moscato di Scanzo e all’ottenimento della Docg. La seconda sala, con un antico soffitto a volte, è stata dedicata a Gino Veronelli con la seguente dedica: “Grazie per averci sempre sostenuto e spronato ad amare il nostro Moscato di Scanzo. I soci del Consorzio”. Sincero riconoscimento verso un uomo che amava ed invitava ad amare il Moscato di Scanzo. L’obiettivo del “Salotto del Moscato di Scanzo” è quello di creare un luogo di incontro, di promozione e di racconto del territorio, dei suoi prodotti e della cultura vitivinicola.
Il complesso era ed è tutt’ora un’entità autonoma rispetto al borgo di Rosciate; il profilo architettonico della villa, risalente al XV secolo, venne arricchito da modifiche ed interventi effettuati nei secoli successivi, soprattutto nell’800. Nella seconda metà del secolo la proprietà venne ceduta a dei nipoti del condottiero Colleoni, assumendo l’attuale denominazione di Villa Colleoni. All’interno vi è una cappella privata con tele de pittore A. Cifrondi. Nella storia di Rosciate si inserisce un personaggio di rilevanza storica: il giuriconsulto Alberico da Rosciate, la cui nascita in questo luogo sottolinea l’importanza di questo borgo. Il presunto luogo nativo viene localizzato ad ovest dell’attuale Villa Colleoni.
L’attuale edificio di Villa Pagnoncelli è da riferirsi al XVII sec., anche se getta le basi su strutture di epoca medievale; la villa presenta interventi di varie epoche, non chiaramente databili. L’edificio centrale ha una pianta a corpo semplice, al quale si congiunge un altro edificio ad L con un portico centrale ed un salone impreziosito da medaglioni di stucco affrescati con soggetti mitologici. La porzione di edificio che comprende la torre, la parte più antica della struttura, nell’800 ospitava le scuderie. All’esterno un bel giardino all’italiana. La villa è di proprietà della famiglia Pagnoncelli Folcieri, storici farmacisti di Scanzorosciate.
Questa villa, tra il XV e il XVI secolo, fu sede del comando di zona della Serenissima, come testimonia il leone di S. Marco che domina sulla facciata principale. Fu poi dimora rosciatese di Giacomo Quarenghi, uno dei maggiori architetti del periodo neoclassico, noto anche per i legami con la Russia di Caterina II. La moglie di Quarenghi, Maria Fortunata Mazzoleni, aveva dei possedimenti in Val Cavallina, tra i quali questa villa; l’edificio fu utilizzato per alcuni anni dai Quarenghi come casa di campagna e dopo la morte di Giacomo, nel 1817, passò in eredità ai figli. Nel 1824 la villa venne venduta ad fisico Domenico Mandelli, al quale è stato intitolato il vicolo ciottolato che conduce all’ingresso della villa. Mandelli vendette poi la villa al Cavalier Cavagnis.
Villa Valbona si trova nel centro dell’omonima valle circondata da vigneti. E’ possibile datare con certezza l’edificio ad un periodo anteriore al XVII sec. grazie ad una pala del 1608 del pittore F. Zucco presente nella vicina chiesa di San Pantaleone, che ritrae i nobili Mazzoleni, proprietari della Villa fino al 1713. Un documento importante è il cabreo del 1792, dal quale è possibile evincere come l’impianto della villa sia rimasto nell’insieme invariato fino ad oggi. Edificio ampio, ben integrato nel paesaggio, presenta un sontuoso atrio d’ingresso con antistante curato giardino all’italiana, riproposto anche nel retro. Le sale della villa vantano interessanti affreschi ancora oggi visibili e ben conservati. Particolarmente interessante è la cosiddetta “sala del fumo”, che all’epoca era il luogo di ritrovo. Il piano nobile conserva una luminosa galleria d’entrata, pavimenti originali in cotto, finestre con vetri soffiati e affreschi; i soffitti lignei risalgono al XVIII sec.
L’ampio anfiteatro della collina di Celinate appare al visitatore che arriva da Scanzorosciate come un’immensa area completamente coltivata a vite. Villa Celinate è una delle più grandi ville di Scanzorosciate, ma anche una delle meglio conservate sia dal punto di vista architettonico che pittorico. La villa è composta da parti di epoche differenti e risulta formata da due strutture ad L accostate. Di proprietà dei conti Vitalba dal 1400 al 1800, nel 1802 la proprietà passò a Giacomo Alcaini di Martinengo. Dal 1990 la Villa è di proprietà privata società di persone, che continua la tradizione vitivinicola della tenuta, oltre a condurre un’attività di agriturismo